The Others 2021

AGAINST DOMESTICITY
Matteo Gatti, Naomi Gilon

A cura di Angela La Rosa e Deborah Maggiolo

04/11/2021 – 07/11/2021

The Others artfair, Torino Esposizioni Pad.3, via Francesco Petrarca 39b Torino.

Con il termine domesticazione si indica il processo tramite cui la vita di una specie, animale o vegetale, viene disciplinata dalla serrata convivenza con l’essere umano e/o dal suo esplicito controllo. Un simile assoggettamento comporta notevoli alterazioni dell’ecosistema di vita di molteplici organismi, scompensandone gli equilibri comportamentali, fisiologici e biologici. La medesima volontà di dominio regola i rapporti umani con l’Alterità, intesa come tutto ciò che non si conforma al soggetto normato, definendo discriminazioni plurime di tipo specista, razzista, sessista e classista. Ma, se l’Alterità è una costruzione sociale, politica e culturale, lo è anche il concetto di “normalità”, ricorsivamente modulato dal potere dominante. Illuminanti a tal proposito sono le riflessioni promosse da personalità di spicco del campo delle Environmental Humanities quali Karen Barad, Rosi Braidotti, Donna Haraway e Timothy Morton; idee capaci di scuotere le coscienze e di innescare un processo di revisione critica dei paradigmi tassonomici che ordinano il mondo attuale. Le filosofie postumane, del femminismo intersezionale e del pensiero ecologico stanno delineando una visione della realtà data da una concezione di assoluta mescolanza e interconnessione tra tutte le cose: un ecosistema relazionale in cui la diversità diventa parte costitutiva dell’identità stessa. Le due facce della medaglia, Alterità e “normalità”, si fondono irrimediabilmente e l’idea di “mostruosità” – massima espressione dell’Alterità radicale – abbandona ogni accezione dispregiativa, costituendosi come nient’altro che il riflesso dell’umano.

Sul paradosso della “mostruosità” si interroga il progetto proposto per la fiera, che è un invito ad abitare la sfera intima della casa in modo eccentrico e inclusivo, attraverso la messa in scena della condivisione di un momento di quotidianità con il “mostro”. Contro ogni tentativo di definire univocamente, di delimitare rigidamente e di imbrigliare l’identità all’interno di un costrutto discorsivo di carattere strumentale, Against Domesticity: Making Room for the Inappropriate/d Other auspica a generare una dimensione osmotica di interscambio con la diversità. Globalmente, nell’ultimo anno e mezzo, le consuetudini abitative contemporanee hanno dovuto riconfigurarsi in modo repentino, assumendo una valenza claustrofobica e di confinamento sia fisico che mentale. Pertanto, la casa si è trasformata in un vero e proprio dispositivo di “addomesticamento” umano: domesticità e domesticazione hanno teso a coincidere. Nell’ipotesi di convivenza qui proposta ogni distanziamento o confine viene annullato in favore di una relazione anticonformista e insolita. La dimensione del “mostruoso”, pur senza perdere la propria specificità, determina e al tempo stesso viene inglobata da un nuovo approccio all’ambiente domestico. Quest’ultimo, da sempre emblema di una rappresentazione fittizia di normatività sociale, si evolve divenendo uno spazio di riflessione viva e partecipata.

La casa possibile così immaginata diviene dunque luogo esperienziale in cui i visitatori possono rispecchiarsi nella diversità, e dove la paura del dissimile si tramuta in presa di coscienza rispetto alla propria Alterità costitutiva. In riferimento al pamphlet di Donna Haraway The Promises of Monsters. A Regenerative Politics for Inappropriate/d Others (1992) – che a sua volta muta l’espressione da Trinh Minh-ha[1] – lo scopo di questo progetto è dialogare col soggetto inappropriato e inappropriabile. Inteso come quella forma polimorfa e polisemica dell’identità, mai data in modo definitivo né colta nella sua totalità. Tale soggetto si esplica piuttosto in un processo di continuo divenire e in relazione a molteplici altri/e umani/e e non umani/e, organici/che e inorganici/che. Against Domesticity: Making Room for the Inappropriate/d Other si afferma come uno dei possibili prototipi di una convivenza già da sempre più-che-umana da riscoprire.

La narrazione che prende corpo nello spazio espositivo rende esperibile la speculazione fantastica di un avvenire differente, attraverso le opere di Matteo Gatti e Naomi Gilon. Il progetto installativo mette in scena un ipotetico ambiente domestico popolato da presenze inappropriate e inappropriabili che interagiscono in modo diretto con gli elementi tipici della familiarità casalinga. Sono le opere stesse a suggerire la coabitazione di uno spazio esistente, rendendolo terreno fertile per l’incontro e il dialogo: in questa visione la casa diviene soglia attraversabile, dimensione permeabile e modello di un nuovo habitat interspecie. La pratica artistica di Matteo Gatti (Olgiate Olona, 1989) può essere descritta come una fantasticheria giocosa e irriverente capace di mettere in connessione differenti piani ontologici e di generare momenti di convivenza eccentrici tra il dato umano, animale, vegetale e minerale. Le tre opere selezionate – il disegno Miss u more than I should (2020), la sedia Nisse (2020) e il telefono Darti attenzione mi distoglie dai processi evolutivi della mia specie (2018) – suggeriscono una totale erosione delle ordinarie gerarchie del vivente. Il processo di mutazione così immaginato risulta fisicamente tangibile in un’estetica che si delinea attraverso procedimenti di fusione e stratificazioni polimateriche, che imitano la sedimentazione geologica. Dichiaratamente ispirate al mondo della cultura pop e ai meccanismi della Science Fiction nascono invece i lavori di Naomi Gilon (Arlon, 1996), che si protendono in forma di articolazioni ibride. Al tempo stesso aberranti e seducenti, riattivano quello stesso dualismo connaturato all’immaginario del “mostro”, sempre situato fra uno stato di meraviglia prodigiosa e di ammonizione demoniaca, ricollegandosi alle figurazioni del mito, della favola, delle leggende popolari e del cinema. Le perturbanti creature di Gilon prendono corpo in oggetti di carattere antropomorfo, combinando utensili quotidiani con elementi mostruosi, così come avviene per le quattro opere scelte – la stampa Charmeuse de serpent (2020), il piatto Sketch Plate (2021), il portapianta Chained! (2021) e il portacandela Paw candlestick pink nails (2021). L’allestimento proposto da Against Domesticity: Making Room for the Inappropriate/d Other è dato a partire da uno spazio asettico dominato dalle tonalità del bianco e composto da poche unità strutturali. Qui, i lavori sopracitati intervengono a contaminare l’ambiente con la loro forza formale e tonale, trasformandolo completamente. Le sette opere diventano le protagoniste indiscusse di una scena articolata da molteplici linguaggi artistici. Al centro dell’area espositiva, su un tavolo bianco – elemento conviviale per la condivisione simbolica di un pasto – si collocano Sketch Plate e Paw candlestick pink nails di Gilon insieme a Darti attenzione mi distoglie dai processi evolutivi della mia specie di Gatti. Ai lati del tavolo due sedie: da una parte Nisse, l’opera di Gatti, e dall’altra la sua “gemella” Ikea. Sulla parete di fondo una comune mensola bianca sorregge Chained! di Gilon e Miss u more than I should di Gatti. Con le sue notevoli dimensioni Charmeuse de serpent domina la parete opposta alla mensola. Simulando un interno abitativo, lo stand fieristico mira a mettere in scena un ambiente domestico inusuale che vive della relazione partecipativa tra fruitore e “altro mostruoso”, suggerendo così un cambiamento di prospettiva universale e del nostro essere nel e del mondo.

La ricerca di entrambɜ lɜ artistɜ procede verso una direzione in cui, situandosi saldamente nella realtà attuale, l’elemento “mostruoso” interviene nell’ambito esistenziale umano e ne viene contemporaneamente inglobato. La secolare divisione prestabilita tra soggetto egemone e costrutto material-simbolico acquista una propria area ontologica e ragion d’essere, all’interno e in connessione alle altre. La dinamica paradossale così instauratasi, secondo una metafora di tipo biologico affermata dalla processualità artistica, rende il “mostro” parte integrante della cellula abitativa della casa e della vita comune. Le opere di Gatti e Gilon indicano una transizione auspicabile – sia in senso figurato che concreto – verso un diverso stadio storico, politico e culturale caratterizzato da coabitazioni eccentriche e consapevolezza dell’interconnessione. In conclusione, le spinte intellettuali, filosofiche, politiche e ambientali attuali suggeriscono la necessità di analizzare e/o ripensare le forme assunte della convivenza interspecie e le modalità di abitare insieme il mondo. Quello che vorrei evidenziare […] è la priorità della relazione, la consapevolezza che il soggetto Non-uno non è all’origine di se stesso, ma l’effetto del perenne flusso di incontri, interazioni, affettività[2] e desideri che provengono dagli altri e da altrove . Con queste parole Rosi Braidotti sintetizza al meglio la riflessione al centro di Against Domesticity: Making Room for the Inappropriate/d Other, dove l’elemento “mostruoso” diventa espressione tangibile della relazione dialettica tra “normalità” e Alterità. Come direbbe Timothy Morton, nel suo essere vaga e ambigua l’arte ci permette di intravedere esseri che sono al di là – e fra gli interstizi – delle nostre consuete categorie. Le opere di Gatti e Gilon tracciano una rotta percorribile in questa direzione.

[1] She, the Inappropriate/d Other, Center for Twentieth Century Studies, University of Misconsin-Milwaukee, 1986

[2] Rosi Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma, 2014 (pp. 117 – 118);